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SPAZIO CONTROVIRUS 7 Servirà un supporto psicologico terminata l’emergenza Covid-19? Possibile. Ma nel frattempo cosa possiamo fare?

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SPAZIO CONTROVIRUS 7 Servirà un supporto psicologico terminata l’emergenza Covid-19? Possibile. Ma nel frattempo cosa possiamo fare?

A cura di Massimo Giugler

Si sente parlare sempre più spesso della necessità di interventi psicologici una volta che l’emergenza Coronavirus sarà terminata.
Credo che vadano posti un paio di distinguo, legati alle situazioni che stiamo vedendo e vivendo. Vi sono in Italia zone molto diverse per intensità e densità di contagiati e di vittime. Nelle zone a maggiore intensità è evidente come il livello di tensione sia maggiore, la paura di contagio più elevata, i drammi quotidiani vissuti in modo diretto.
Un’altra precisazione va posta in merito all’intensità emotiva con cui stiamo vivendo questi giorni: vi sono situazioni di convivenza difficile o di angoscia per ciò che sta capitando o di solitudine, altre ancora traumatiche (mi riferisco alle morti in ospedale, senza il conforto dei famigliari), ai vissuti dei professionisti del sanitario che sono in prima linea e, oltre alla fatica psicofisica, alla preoccupazione per se stessi e i familiari di rischio contagio, vivono situazioni drammatiche sul posto di lavoro.
E’ indubbio che chi ha vissuto la perdita di un familiare (in genere un genitore) senza sapere dove fosse, come abbia terminato la sua esistenza, senza essersi potuto occupare della salma, senza aver potuto celebrare il funerale con tutti i suoi rituali e il potere di elaborazione che ha in sé, si troverà sulle spalle un grave fardello e sentirà, probabilmente, la necessità di un supporto psicologico.
Così come chi, dall’altra parte, ha dovuto accompagnare i malati all’estremo saluto, o vivere le sofferenze, incrociare sguardi disperati, compiere scelte estreme, fungere da ambasciatore degli ultimi messaggi tra il malato in ospedale e i familiari a casa. Esperienze decisamente forti e traumatiche, che avranno molto probabilmente bisogno di spazi e momenti di ascolto e di rielaborazione.
Ma vi sono tutta una serie di altre situazioni, e sono la stragrande maggioranza, per le quali è possibile agire qualcosa fin da subito, senza attendere la fine dell’emergenza. E non mi riferisco al fatto di chiedere un aiuto fin da subito, strumento ovviamente sempre disponibile, seppur a distanza.
Abbiamo l’atteggiamento, proprio durante questa fase di isolamento, di convivenza forzata, di guardare sempre il dopo, oltre la fine, senza mai soffermarsi su quello che stiamo vivendo. E così ragioniamo anche rispetto al sostegno psicologico. Ne avrò bisogno, dopo. Sì ma oggi, cosa posso fare per me? Per evitare di rivolgermi ad un professionista quando sarò in condizioni pessime?
Sarà il mio un approccio controtendenza o “controinteressi” di categoria, ma credo fortemente in un lavoro di prevenzione, svolto a livello individuale, contagiando, in positivo, i componenti della famiglia. Un’attenzione al benessere personale e famigliare.
Un primo passo è riuscire a mettere parola, con altri adulti (il partner, gli amici), su ciò che ci sta capitando e come noi lo stiamo vivendo. Abbiamo da un lato l’obbligo di proteggere i figli, dall’altro il dovere di tutelare noi stessi. Un primo rischio è di caricarci tutto sulle spalle, di celare quello che stiamo provando, di tenere dentro di noi le preoccupazioni (di salute, per noi e per altri, economiche, lavorative, ecc) che stiamo vivendo. Occorre trovare il giusto equilibrio fra la tutela di noi stessi e quella dei nostri figli, fra quanto va condiviso e quanto no.
La condivisione con altri adulti. Oggi abbiamo anche l’opportunità di condivisione a distanza, che, con i dovuti accorgimenti, si può tramutare in momenti di estrema vicinanza. Con-dividere significa mettere in comune. Rende forse meglio l’idea di condivisione il verbo spagnolo “compartimos”, in quanto dà maggiormente l’idea di “fare parte”, mentre in italiano dà più l’idea della divisione. Però il senso è di mettere in comunione il sentire dell’uno con quello dell’altro, trovare delle risonanze emotive nello scambio. Poter sentire di avere qualcuno emotivamente vicino in un momento delicato, nonché incerto e quindi fonte di preoccupazioni. Qualcuno che sente e prova quello che stiamo provando noi o verso il quale possiamo comunque manifestare il sentire di questi giorni.
Un secondo passo può essere vivere il momento, riuscire a dare valore alla situazione che si è creata. Accettarla, ma non subirla. Accettare una situazione non significa abbassare il capo. Significa riuscire a dare un senso a ciò che ci è capitato. Non parlo di un senso filosofico, divino o esistenziale, ma semplicemente riuscire a vedere delle opportunità quali la vicinanza con i figli, la cura di noi stessi e dei nostri interessi, la cura dei legami con persone care, ma che avevamo trascurato.
Un terzo spunto potrebbe essere quello di lasciare degli ancoraggi temporali di ciò che stiamo vivendo. La sensazione di questi giorni è di avere messo un paletto ad una certa data, identificata come la fine del tunnel, mentre viaggiamo a fari spenti guardando solo la luce al fondo. L’invito è invece quello di accendere i fari e di vedere quello che c’è nel tunnel. Non solo, ma di lasciare traccia del nostro passaggio: non sappiamo bene quando tutto ciò è iniziato, da quando siamo a casa, per che giorno viviamo. Rischiamo così di stare in un tempo sospeso per poi tornare in una dimensione nuovamente e fortemente scandita dal tempo. Così facendo usciremo dal tunnel, ma con un buco alle spalle, un vuoto temporale, che rischia di inghiottirci, nel tempo. Volevamo fuggire, scappare e rischiamo di esserne risucchiati. Il lavoro quotidiano da intraprendere può essere la scansione temporale, ricordando i giorni che stiamo vivendo, dando loro semplicemente il nome, leggendo il quotidiano (che non comperiamo più, essendo tutto on line e leggendo articoli qua e là), scrivendo un mini diario (attività che potrebbe anche diventare di famiglia e aiutarci anche quando lo rileggeremo), facendo un album fotografico di questi giorni, inventandoci e scrivendo un gioco al giorno, una ricetta al giorno, un pensiero al giorno, ecc.
Se poi ci sarà bisogno di un sostegno, ben venga, ma lo si farà con un’adeguata consapevolezza di ciò che abbiamo passato, del tunnel che abbiamo attraversato. Con le luci accese.

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Spazio Contro Virus 6 Bacheca

Bacheca

a cura di Raffaella Borio

Ho proposto ai bambini che seguo in studio una bacheca, uno spazio virtuale a cui, se lo vogliono, far arrivare i disegni; in diversi mi hanno domandato se potevano inviare i loro lavori. Nella pratica clinica con i più piccoli il disegno è uno strumento importante ed ora è ciò che consente di tenere un contatto, anche con gli adulti che se ne occupano, tra le mura di casa. Il disegno cura il transfert, nella distanza, non lo fa cadere. Il primo disegno che mi raggiunge è quello di una bambina di otto anni che incontro regolarmente da tre mesi: una principessa vestita di rosa che lancia frecce per colpire un mostro verde. Sopra le frecce campeggia la scritta «Ciao, ce la farai, buongiorno dai non perderai, saluti poi da tutti noi, principessa sei non temerei». Intorno alle frecce due fatine con le bacchette dai diversi colori potenziano le virtù della principessa. La bimba racconta che la principessa è la sua mamma: una dottoressa che può cacciare le malattie con le frecce di biscotto fatte da lei. Le due fate sono il suo papà e la sottoscritta: insieme aiutiamo la mamma a liberare la magia che le serve per essere più forte. Magia, dice così la bimba, ed io ci credo. 

Ho ascoltato tanti genitori al telefono in questo periodo: arrabbiati, disorientati, legittimamente preoccupati soprattutto da quando il susseguirsi degli eventi ha decretato, anche, la chiusura delle scuole per un periodo piuttosto lungo. Nessuno di loro, però, mi ha raccontato mai dei buoni biscotti che sa fare, caspita!

L’affetto d’angoscia ha una carica virale altissima. E i bimbi dove sono? Lì intorno ad ascoltare e vedere tutto. La fantasia li aiuta a non sentire il peggio perché li rende portatori sani di discorsi. Se mamma e papà, però, sono molto angosciati, allora è il caso che un Altro possa iniettare, quanto basta, quel tot di magia: dire e ridir loro, per esempio, che i biscotti fatti da mamma son proprio buoni, che la principessa ce la farà e che la vita è bella. La vita è bella è un’opera d’arte. Un film passato alla storia del cinema dove Guido, il protagonista, per proteggere il figlio Giosuè dagli orrori dello sterminio e del campo di concentramento dove è recluso insieme al piccolo, costruisce un mondo di allegoriche narrazioni, giocando e driblando tra una parola tragica e l’altra, rimettendo nel discorso significanti che emergono dal contesto, ma che si aprono a una nuova lettura. Così la tragedia si trasforma in esperienza a cui si sopravvive! Una pellicola che trasuda di amore genitoriale e insegna l’importanza nella relazione coi bambini, di prestarsi a costruire dei discorsi che giungano a disangosciare. Lungi dal misconoscere la portata di questo reale che fa irruzione nelle nostre vite e in quelle dei bambini, si tratta piuttosto di trattarlo a partire dai significanti propri al lessico di quella specifica famiglia, affinchè le parole, come insegnano i bambini, possano tornare a circolare evitando in questo modo l’ascesi di possibili segregazioni. 

Intanto, nello studio, spunta una bacheca, una bacheca virtuale, il virtuale contro il virale. Un disegno lì appuntato e il numero zero, mi riporta a ciò che conta: alla magia di quel film, all’esperienza della psicoanalisi e a quel che fa da sveglia: “Buongiorno principessa!”.

   

 

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 5 Lettera delle Insegnanti ai Genitori: “Cari papà, care mamme…”

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 5 Lettera delle Insegnanti ai Genitori: “Cari papà, care mamme…”

Cari papà e care mamme,

abbiamo sentito il bisogno di scrivervi per condividere con voi alcune nostre riflessioni in questi giorni così difficili.

Tutti noi stiamo vivendo una situazione nuova ed estremamente faticosa, emotivamente e praticamente, sconosciuta ed in continuo cambiamento.

Anche la scuola è stata, inevitabilmente, investita da quello che sta accadendo. In un primo momento i giorni di chiusura sembravano pochi, poi sono diventati settimane, e tuttora non sappiamo quando finiranno.

Noi adulti stiamo svolgendo un compito molto importante: collaborare e impegnarci, ancora più di prima, per continuare a garantire ai nostri bambini il fondamentale diritto all’istruzione, per aiutarli a mantenere, il più possibile, la serenità, il desiderio di imparare e perché continuino a sentirsi in relazione, con noi e tra loro, anche da lontano.

Per i bambini è cambiato tutto: l’ambiente, i luoghi, le abitudini, i tempi e i modi in cui si impara. Manca la presenza e il confronto con le maestre e con i compagni, il gioco e la vicinanza con gli amici, la possibilità di uscire e muoversi.

Anche per voi genitori è cambiato tutto. Siete diventati i mediatori principali tra noi e i bambini: li aiutate ad ascoltare e a registrare audio, a scaricare foto, ad organizzare tempi e spazi, a svolgere le attività scolastiche senza che perdano la loro autonomia. State pensando per loro nuove routine e nuove regole che diventeranno, col tempo, ripetitive e rassicuranti.

Anche per noi insegnanti è cambiato tutto. Stiamo cercando di usare nuovi strumenti e strategie per continuare a comunicare e a trasmettere competenze ed affetto ai nostri alunni. Sperimentiamo, impariamo anche noi, cercando di non dimenticare che ogni bambino ed ogni famiglia vive possibilità e realtà diverse, in modo che la scuola continui, anche ora, ad essere “scuola di tutti e per tutti”.

Tutti noi investiti dal cambiamento: i bambini, le famiglie, le insegnanti.

Tutti desiderosi di affrontarlo nel modo migliore e di collaborare tra noi.

Per questo ci sembra che questo periodo così difficile, possa essere anche molto prezioso e ricco di nuove opportunità.

Il programma scolastico di quest’anno sarà sicuramente un programma diverso. Richiederà nuovi obiettivi ed una nuova progettazione. Per le parti che non riusciremo a portare a termine ci sarà, poi, il modo ed il tempo per il recupero. Lo affronteremo quando torneremo a scuola. In qualunque momento sarà questo ritorno a scuola. Non preoccupatevi.

Ma ora i nostri bambini stanno imparando, insieme a noi, anche molto altro: ad affrontare difficoltà impreviste, a rinunciare alla libertà di muoversi, a non poter vedere gli amici e le persone care, ad accontentarsi del poco, ad adattarsi, a saper attendere, ad avere pazienza, in nome di valori più grandi: la salute di tutti, il senso di responsabilità, la speranza, la solidarietà, la forza di essere comunità.

Un proverbio africano dice: “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Continuiamo così, a collaborare per aiutare i nostri bambini a crescere.

Vi salutiamo con affetto.

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SPAZIO CONTRO VIRUS 4 INSEGNANTI E ALUNNI DISTANTI: quali connessioni possibili?

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SPAZIO CONTRO VIRUS 4 INSEGNANTI E ALUNNI DISTANTI: quali connessioni possibili?

A cura di Ilaria Pollono e Massimo Giugler

Le nostre scuole sono oramai chiuse da un mese e lo resteranno per almeno altrettanto tempo.

Che è successo, che sta succedendo nelle famiglie e come si è organizzata la scuola in questo breve periodo?

Per entrambi, ci pare di capire, la situazione appare molto variegata e non solo in base all’età dei minori o al livello di scolarità, ma in relazione a numerose significative variabili. A casa: gli spazi interni ed esterni e le tecnologie a disposizione, il numero di componenti in famiglia, la presenza o meno dei genitori. A scuola: la visione del ruolo di insegnante, la possibilità di scambiare con i colleghi le competenze informatiche, le idee di riprogettazione, la disponibilità di tecnologie.

UN CAMBIAMENTO IMPROVVISO NEL PROCESSO DI CRESCITA DI BAMBINI E RAGAZZI

In questa dimensione, anche se in misura diversa, gli studenti sono quelli più disorientati, bambini e ragazzi ai quali viene chiesto un cambiamento radicale che si sostanzia nel blocco delle attività di gruppo (sia esso il gruppo classe, il gruppo di amici, il gruppo sportivo/ricreativo) con la conseguente interruzione del processo di socializzazione. Ciò, correlato alla recente disposizione governativa che stabilisce di rimanere in casa (teniamo conto che per i minori la restrizione è maggiore, perché non possono uscire, come gli adulti, per fare spese per esempio).

Si potrebbe ora aver gioco facile nel dire che le piazze virtuali già esistevano ed erano assai frequentate da parte soprattutto degli adolescenti, per cui un grosso cambiamento, per loro, non c’è stato. Ma il virtuale “regge” perché ha, come contrappeso, il reale: la possibilità, per i ragazzi, di agire su due piani (virtuale e reale), in modo equilibrato.

E poi vi sono gli studenti della primaria, i bambini dell’infanzia che – di norma – non hanno a disposizione mezzi di comunicazione tali per cui avere la possibilità di accedere autonomamente ad una dimensione virtuale. Bambini che improvvisamente , non hanno più potuto vedere (se non attraverso qualche video su Tik Tok o videochiamate su Whats App), dialogare, interagire con i compagni di classe, di calcio o di danza, senza più relazionarsi con gli adulti di riferimento significativi . Tutto ciò, teniamolo a mente, accade durante il loro processo di crescita.

Da circa un mese bambini, preadolescenti e ragazzi, hanno improvvisamente (anche se temporaneamente) perso i loro punti di riferimento quotidiani. Figure adulte di riferimento che, in modo diverso, nutrivano quotidianamente il loro mondo relazionale. E’ questo l’aspetto sul quale oggi gli insegnanti possono fare la differenza.

Il nostro dialogo con molti di loro in questi giorni, ci ha portato a riflettere sulle grandi potenzialità che questo momento porta con sé. Insegnanti chiamati a Re-Inventarsi per poter fare fronte ad una improvvisa richiesta di aggiornamento. Reinventarsi, con i necessari distinguo dovuti al livello di scolarità dei loro alunni.

IL RUOLO DELL’INSEGNANTE ASSUME UNA NUOVA FORMA?

Il compito degli insegnanti, si sa, è complesso: viene loro chiesto di sviluppare il programma, di aumentare conoscenze e competenze negli allievi, ma anche di essere un punto di riferimento per i ragazzi che stanno costruendo la propria identità, nonché di saper gestire il gruppo classe, di coinvolgere gli alunni più in difficoltà e, ancora, di sapersi rapportare in modo efficace con i genitori, di essere esperti in valutazione, di conoscere le nuove tecnologie, ecc…

Ci sembra che il ruolo prioritario dell’insegnante, a fronte di questo improvviso cambiamento, sia quello del collettore. In un momento in cui sono cambiati i punti di riferimento, in cui l’incertezza regna sovrana, le abitudini sono sovvertite, l’ansia serpeggia anche nei genitori, viene chiesto agli insegnanti di svolgere una funzione normalizzatrice.

I bambini e i ragazzi oggi hanno bisogno di essere sostenuti, rassicurati, orientati. I genitori possono farlo, ognuno con le proprie capacità (e ognuno nella propria condizione psicologica ed economica attuale), ma la figura professionale che ha le maggiori competenze da giocare è proprio quella dell’insegnante. L’insegnante che, oltre a garantire una forma di continuità didattica (attraverso un grande sforzo di adeguamento tecnologico e di riprogettazione), possa continuare ad accompagnare gli alunni nel loro percorso di crescita senza perdere di vista un altro obiettivo prioritario in ambito educativo: aiutare, sostenere, orientare gli alunni valorizzando le loro risorse, favorendo lo sviluppo di nuove competenze per fare fronte alle difficoltà, favorire la loro integrazione nel mondo.

E allora, se questo approccio è condiviso, provare a immaginare momenti, anche brevi, in cui gli allievi possano vedere, sentire l’insegnante, possano dialogare, anche al di là dei contenuti del programma, possano avere uno spazio virtuale per loro, in cui “incontrare” i propri compagni, scambiare un po’ con loro, dopo tanto tempo (un tempo non di vacanza, come l’estate, precisiamo), un tempo indefinito di cui non si conosce la fine (non come le vacanze che prevedono un rientro certo!).

In queste settimane molti insegnanti si stanno adoperando per andare in questa direzione. Con un grande sforzo nel trovare il canale più efficace, il modo più funzionale, il più accessibile per RISTABILIRE la RELAZIONE con i propri alunni, per RI-AGGANCIARLI. Per promuovere quella che Raffaele Iosa ha nobilmente definito in questi giorni la DIDATTICA DELLA VICINANZA!

UNO STIMOLO PER LA RI-PROGETTAZIONE

Attraverso il nostro osservatorio, abbiamo provato ad enucleare alcuni dei bisogni prioritari che oggi gli alunni sembrano manifestare nella dimensione #iorestoacasa e che ciascun insegnante può tenere a mente durante la sua riprogettazione di questi giorni:

BISOGNO DI RELAZIONE CON FIGURE ADULTE SIGNIFICATIVE “SCOMPARSE”
BISOGNO DI CONDIVISIONE CON I COETANEI in forme “NUOVE” proposte dagli adulti
BISOGNO DI EMPATIA (DI EMOZIONARSI CON…)
BISOGNO DI PROSEGUIRE il proprio PROCESSO di APPRENDIMENTO” (ATTREVERSO nuovi STIMOLI alla RICERCA)
BISOGNO DI RITMI (anche rituali) CHE LI STRUTTURINO DURANTE LA GIORNATA
BISOGNO DI PENSARSI IN UNA PROSPETTIVA FUTURA DI RITORNO ALLA NORMALITA’
Dato che oggi hanno anche chiuso le aree gioco reali, apriamo quelle virtuali, diamo la possibilità ai bambini di interfacciarsi con i propri coetanei, di sentire la voce dei propri insegnanti, di dialogare con loro, diamo un ritmo alle giornate, in modo che ciò li aiuti a ORIENTARSI e STRUTTURARSI.

E se ciò non fosse gestibile a causa delle barriere tecnologiche o perché non tutti dispongono dei mezzi necessari, iniziamo con chi può, e, nel frattempo, muoviamoci per colmare il gap tecnologico.

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 1 per le Relazioni In Famiglia: Una storia al Giorno

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 1 per le Relazioni In Famiglia: Una storia al Giorno

Spiegato ai figli l’entità dell’emergenza che stiamo affrontando e trascorsi i giorni in cui si è trasmesso loro tutto ciò che è stato necessario per rassicurarli, oltre che informarli, ora si tratta di fare fronte al vero cambiamento. In questi giorni, infatti, per rispettare le regole e contribuire a far si che “tutto andrà bene”, ognuno ha dovuto modificare le proprie abitudini. E modificare le abitudini, si sa, modifica gli equilibri, richiedendo a ciascuno, adulti, ragazzi e bambini, di adattarsi a nuovi ritmi, di riorganizzare il proprio tempo, di ridefinire orari e attività. Tutto questo provoca inevitabilmente un cambiamento prima di tutto dentro di noi. Abbiamo nel precedente articolo parlato della preoccupazione degli adulti e di quanto questa possa interferire nella gestione dei figli in queste circostanze. Oggi parliamo delle inevitabili emozioni che circolano in casa quando ci si trova costantemente in relazione, di come ci si trovi improvvisamente a doversi abituare ad una nuova, seppur temporanea, quotidianità. Lavorare da casa in presenza dei figli, andare a lavorare senza poter portare i figli più piccoli all’asilo o a scuola, lasciare a casa i figli più grandi costretti a sospendere tutte le relazioni sociali, impone un grande cambiamento nelle famiglie. Cambiare orari, deguarsi ai nuovi strumenti di comunicazione per il proseguimento dell’ attività didattica dei figli, interrompere i ritmi per acquisirne di nuovo, sono solo alcuni dei principali aspetti legati al cambiamento che stiamo vivendo. E questo che impatto ha su di noi? Questo grande sforzo che stiamo facendo cosa comporta? Intanto in questi giorni i primi cambiamenti evidenti riguardano i bisogni primari di ciascuno. Grandi e piccoli dormono, mangiano, si muovono, respirano in modo diverso rispetto a prima. Si va a dormire in orari diversi, ci si sveglia e si mangia in orari differenti. Cosa significa questo? Significa che il nostro corpo è impegnato ad adattarsi alle nuove abitudini. E le nostre emozioni che fine fanno? La preoccupazione non è certo scomparsa, ma oltre a ciò si aggiungono tutte quelle emozioni legate allo stare in casa (necessaria ed indiscutibile condizione attuale ), emozioni correlate all’impossibilità di rispondere al bisogno di autonomia, libertà, aggregazione, movimento, tranquillità. Bisogni che, in una dimensione ristretta, restano insoddisfatti. Ecco che, nonostante il piacere di stare insieme ai figli, emerge anche la frustrazione nello stare con loro. E’ naturale. Preoccupati per la salute, per la situazione economica, impegnati a fare i conti con l’utilizzo indispensabile delle nuove tecnologie, ignari di ciò che a breve termine accadrà nel nostro Paese: ma davvero possiamo pensare che agitazione, rabbia, frustrazione non navighino quotidianamente dentro di noi senza avere ripercussioni nel momento in cui un figlio si arrabbia, chiede aiuto, lamenta un bisogno, si annoia, si agita? In questi giorni il concentrato di emozioni all’interno di casa in alcuni momenti può rappresentare un cocktail esplosivo. E questi momenti non si possono evitare. Possiamo prevenirli offrendo ai figli la possibilità di regolare ritmi e attività durante le loro nuove giornate. Possiamo affrontarli accettando che in alcuni momenti si può esplodere o crollare, aiutando i figli a fare lo stesso. Imparare a gestire i momenti di rabbia o sconforto non buttandosi addosso le emozioni, ma cercando di dirsi come si sta in quel momento. Possiamo rallentare gradualmente, per trovare il ritmo che ci consente di connetterci a loro. Potrebbe rappresentare una nuova opportunità. Definire i momenti della giornata per stare insieme, condividendo esperienze a seconda dell’età dei figli (anche adolescenti!!), definirne altri per prendere distanza, comunicando ai figli che in certi momenti è necessario stare “disconnessi”, perché si ha bisogno di tranquillità per ricaricarsi. Siamo sempre alla ricerca del tempo per “fare”, oggi si tratta di utilizzare questo tempo per imparare a STARE, insieme e soli a seconda dei momenti della giornata. Ma l’esercizio più difficile (riportato dalla maggior parte di genitori) è quello di riuscire a riconoscere che i propri comportamenti hanno a che fare soprattutto con il proprio stato d’animo, e che NON sono solo causa del comportamento dell’altro. Oggi iniziamo proporvi qualche spunto di riflessione su questo aspetto, attraverso la nostra prima breve storia. Mamma Anna stamattina ha seguito Pietro e Andrea nei compiti, ha fatto una lavatrice, ne ha stesa un’altra e ha preparato pranzo. E’ a casa da lavoro per due settimane. Papà Carlo è in camera occupato con lo smart working. Nel pomeriggio si gioca a carte e si guarda un po’ di tv. La spesa si farà l’indomani anche se qualcosa manca in frigo. A tavola, la sera, il piccolo Pietro un po’ annoiato, un po’ stanco di stare sempre accanto al fratello, chiede il parmigiano e papà risponde che è finito e che domani andranno a comprarlo. Pietro ha voglia di parmigiano, inizia ad essere stanco, un po’ disorientato dalla giornata atipica, non vede i nonni da una settimana, non gioca a pallone da due e il suo amico Paolo gli manca moltissimo. Inizia a piangere fortissimo. Sono capricci? O Pietro ha solo bisogno di sfogarsi perché le giornate nuove sono difficili anche per lui? Papà Carlo non dice nulla, Lo prende per mano e lo porta in cantina a prendere un vino speciale che berrà con la mamma e una pietra magica che metterà sul tavolo per scriverci sopra la spesa del giorno dopo. La sera, prima di addormentarsi, dice a Pietro che lo sa, è difficile rinunciare alla libertà in questi giorni. E lo stringe stretto a sè.

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spazio contro-virus 0 – Riuscire a rassicurare i figli quando si è preoccupati…

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spazio contro-virus 0 – Riuscire a rassicurare i figli quando si è preoccupati…

Mamma, Papà, ma possiamo prendere anche noi il coronavirus? Perché non andiamo a scuola? Ma nemmeno ad allenamento? Allora possiamo morire?…

Domande come queste, poste da bambini o da adolescenti a fronte di un’emergenza sanitaria improvvisa come quella che ci sta coinvolgendo in queste ore, sono frequenti e legittime. Domande alle quali talvolta mamma e papà faticano a rispondere perché, infondo, anche loro sono disorientati e talvolta molto spaventati.

E riuscire a rassicurare i figli quando si è preoccupati…è un’operazione impegnativa!

A volte si minimizza, a volte si prende tempo, come se si cercasse la risposta giusta per proteggere per sempre un figlio dalle cose brutte che accadono nel mondo.

Ma i nostri figli in questi giorni ci stanno osservando, ci stanno ascoltando, stanno guardando video e telegiornali, i più grandi si stanno documentando attraverso la rete in tempo reale, vedono e sentono parlare dell’allarme coronavirus,  ma soprattutto vedono gli adulti preoccupati.

E quando un genitore è preoccupato spesso racconta troppo (trasferendo inconsapevolmente la propria ansia) oppure non ne parla (rischiando di non mettere parola sui timori di ciascuno). E’ naturale, la paura invade anche gli adulti.

Anche sdrammatizzare serve a poco, quando sono loro i primi a vederci preoccupati.

E a fronte di questi eventi, le  paure dei grandi sono diverse da quelle dei bambini e quelle degli adolescenti sono ancora differenti. Diverse le informazioni che si hanno, gli scenari che si immaginano, diverso il grado di consapevolezza, diversa la capacità di comprendere la natura del rischio.

Ecco perché è necessario provare ad ascoltare più che spiegare,  essere con loro quando mostrano la loro paura, rassicurandoli, senza sfuggire alle loro domande difficili. Sempre a  partire da loro.

E questo possiamo farlo solo se prendiamo atto della nostra preoccupazione. Quella che ci porta ad acquisire sempre più informazioni, quella che ci fa parlare al telefono tra adulti,  quella che si cerca di tenere a bada attraverso i continui aggiornamenti e che talvolta ricade – senza volerlo – sui figli, in modo inopportuno.

Quella paura che dobbiamo affrontare per riuscire ad intravedere una via di uscita. Perché gli adulti siamo noi, E se riusciamo a riconoscere la nostra paura possiamo affrontarla, senza farlo attraverso loro, non sommandola alla loro.

 Trasmettendo fiducia, non solo paura, possiamo farli sentire al sicuro.

Emotivamente al sicuro.

Allora separiamo le cose. Se siamo spaventati e abbiamo bisogno di avere notizie, di parlare con parenti e amici, se abbiamo bisogno di documentarci, facciamolo. Il grande sforzo, in queste circostanze, è preservare i figli dagli eccessi.

La loro quotidianità sta subendo già molti cambiamenti in questi giorni e il loro bisogno di rassicurazione aumenterà. Questo è da tenere a mente.

Pertanto sarà necessario non coinvolgerli nell’eccesso di notizie, essere con loro nel momento in cui queste notizie li fanno sentire smarriti, confusi, curiosi, spaventati o anche molto agitati. Dare ai figli l’opportunità di trovare il loro modo di affrontare questa paura. I bambini sono in grado di trovarne molti, se vedono gli adulti fiduciosi.

Ecco che possiamo essere con loro, spiegando che la paura è un allarme naturale del nostro corpo quando sentiamo un pericolo. Rassicurandoli, dicendo loro che anche noi siamo preoccupati, ma fiduciosi perché gli adulti stanno facendo tutto ciò che è necessario per studiare questo virus nuovo e per capire come curarlo. Si adottano misure di sicurezza che ci proteggono (la chiusura delle scuole, l’annullamento dei carnevali, la sospensione delle attività sportive…) e questo è normale che spaventi perché ci fa sentire vicini al pericolo. In realtà è un modo per fermarsi, scoprire le caratteristiche di questo virus e capire come fare per proteggerci meglio.

In questi giorni in cui il continuo bisogno di informazione (per gli adulti) sarà molto alto, risulterà quindi necessario spiegare alcune cose (poche) ai bambini, rispondere sempre alle loro domande senza drammatizzare o sminuire, ma sarà anche necessario alleggerirli dal clima che questo allarme continuerà a creare: giocando con loro, condividendo maggiore tempo insieme a loro, affrontando il tema quando sono loro a proporlo, condividendo con loro la paura (anche la nostra!) e aiutandoli a trasformarla in fiducia!

In chiusura desidero citare la frase di un papà che ho incontrato ieri sera ad Ivrea dopo l’annuncio della sospensione del carnevale, mentre il figlio di 8 anni in lacrime gli diceva che ora aveva davvero paura del coronavirus!

“E’ normale avere paura amore, anche noi adulti siamo preoccupati. Dobbiamo affidarci alle persone che si stanno occupando della nostra protezione (i medici che studiano questa nuova malattia, i sindaci che decidono le regole che dovremo seguire in questi giorni, per esempio) e questo mi da fiducia. E poi affronteremo tutto questo insieme, sono qui con te!”

A cura di Ilaria Pollono

Studio Sigrè Consulenze per la Famiglia

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