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SPAZIO CONTRO VIRUS 4 INSEGNANTI E ALUNNI DISTANTI: quali connessioni possibili?

Studio Sigré

SPAZIO CONTRO VIRUS 4 INSEGNANTI E ALUNNI DISTANTI: quali connessioni possibili?

A cura di Ilaria Pollono e Massimo Giugler

Le nostre scuole sono oramai chiuse da un mese e lo resteranno per almeno altrettanto tempo.

Che è successo, che sta succedendo nelle famiglie e come si è organizzata la scuola in questo breve periodo?

Per entrambi, ci pare di capire, la situazione appare molto variegata e non solo in base all’età dei minori o al livello di scolarità, ma in relazione a numerose significative variabili. A casa: gli spazi interni ed esterni e le tecnologie a disposizione, il numero di componenti in famiglia, la presenza o meno dei genitori. A scuola: la visione del ruolo di insegnante, la possibilità di scambiare con i colleghi le competenze informatiche, le idee di riprogettazione, la disponibilità di tecnologie.

UN CAMBIAMENTO IMPROVVISO NEL PROCESSO DI CRESCITA DI BAMBINI E RAGAZZI

In questa dimensione, anche se in misura diversa, gli studenti sono quelli più disorientati, bambini e ragazzi ai quali viene chiesto un cambiamento radicale che si sostanzia nel blocco delle attività di gruppo (sia esso il gruppo classe, il gruppo di amici, il gruppo sportivo/ricreativo) con la conseguente interruzione del processo di socializzazione. Ciò, correlato alla recente disposizione governativa che stabilisce di rimanere in casa (teniamo conto che per i minori la restrizione è maggiore, perché non possono uscire, come gli adulti, per fare spese per esempio).

Si potrebbe ora aver gioco facile nel dire che le piazze virtuali già esistevano ed erano assai frequentate da parte soprattutto degli adolescenti, per cui un grosso cambiamento, per loro, non c’è stato. Ma il virtuale “regge” perché ha, come contrappeso, il reale: la possibilità, per i ragazzi, di agire su due piani (virtuale e reale), in modo equilibrato.

E poi vi sono gli studenti della primaria, i bambini dell’infanzia che – di norma – non hanno a disposizione mezzi di comunicazione tali per cui avere la possibilità di accedere autonomamente ad una dimensione virtuale. Bambini che improvvisamente , non hanno più potuto vedere (se non attraverso qualche video su Tik Tok o videochiamate su Whats App), dialogare, interagire con i compagni di classe, di calcio o di danza, senza più relazionarsi con gli adulti di riferimento significativi . Tutto ciò, teniamolo a mente, accade durante il loro processo di crescita.

Da circa un mese bambini, preadolescenti e ragazzi, hanno improvvisamente (anche se temporaneamente) perso i loro punti di riferimento quotidiani. Figure adulte di riferimento che, in modo diverso, nutrivano quotidianamente il loro mondo relazionale. E’ questo l’aspetto sul quale oggi gli insegnanti possono fare la differenza.

Il nostro dialogo con molti di loro in questi giorni, ci ha portato a riflettere sulle grandi potenzialità che questo momento porta con sé. Insegnanti chiamati a Re-Inventarsi per poter fare fronte ad una improvvisa richiesta di aggiornamento. Reinventarsi, con i necessari distinguo dovuti al livello di scolarità dei loro alunni.

IL RUOLO DELL’INSEGNANTE ASSUME UNA NUOVA FORMA?

Il compito degli insegnanti, si sa, è complesso: viene loro chiesto di sviluppare il programma, di aumentare conoscenze e competenze negli allievi, ma anche di essere un punto di riferimento per i ragazzi che stanno costruendo la propria identità, nonché di saper gestire il gruppo classe, di coinvolgere gli alunni più in difficoltà e, ancora, di sapersi rapportare in modo efficace con i genitori, di essere esperti in valutazione, di conoscere le nuove tecnologie, ecc…

Ci sembra che il ruolo prioritario dell’insegnante, a fronte di questo improvviso cambiamento, sia quello del collettore. In un momento in cui sono cambiati i punti di riferimento, in cui l’incertezza regna sovrana, le abitudini sono sovvertite, l’ansia serpeggia anche nei genitori, viene chiesto agli insegnanti di svolgere una funzione normalizzatrice.

I bambini e i ragazzi oggi hanno bisogno di essere sostenuti, rassicurati, orientati. I genitori possono farlo, ognuno con le proprie capacità (e ognuno nella propria condizione psicologica ed economica attuale), ma la figura professionale che ha le maggiori competenze da giocare è proprio quella dell’insegnante. L’insegnante che, oltre a garantire una forma di continuità didattica (attraverso un grande sforzo di adeguamento tecnologico e di riprogettazione), possa continuare ad accompagnare gli alunni nel loro percorso di crescita senza perdere di vista un altro obiettivo prioritario in ambito educativo: aiutare, sostenere, orientare gli alunni valorizzando le loro risorse, favorendo lo sviluppo di nuove competenze per fare fronte alle difficoltà, favorire la loro integrazione nel mondo.

E allora, se questo approccio è condiviso, provare a immaginare momenti, anche brevi, in cui gli allievi possano vedere, sentire l’insegnante, possano dialogare, anche al di là dei contenuti del programma, possano avere uno spazio virtuale per loro, in cui “incontrare” i propri compagni, scambiare un po’ con loro, dopo tanto tempo (un tempo non di vacanza, come l’estate, precisiamo), un tempo indefinito di cui non si conosce la fine (non come le vacanze che prevedono un rientro certo!).

In queste settimane molti insegnanti si stanno adoperando per andare in questa direzione. Con un grande sforzo nel trovare il canale più efficace, il modo più funzionale, il più accessibile per RISTABILIRE la RELAZIONE con i propri alunni, per RI-AGGANCIARLI. Per promuovere quella che Raffaele Iosa ha nobilmente definito in questi giorni la DIDATTICA DELLA VICINANZA!

UNO STIMOLO PER LA RI-PROGETTAZIONE

Attraverso il nostro osservatorio, abbiamo provato ad enucleare alcuni dei bisogni prioritari che oggi gli alunni sembrano manifestare nella dimensione #iorestoacasa e che ciascun insegnante può tenere a mente durante la sua riprogettazione di questi giorni:

BISOGNO DI RELAZIONE CON FIGURE ADULTE SIGNIFICATIVE “SCOMPARSE”
BISOGNO DI CONDIVISIONE CON I COETANEI in forme “NUOVE” proposte dagli adulti
BISOGNO DI EMPATIA (DI EMOZIONARSI CON…)
BISOGNO DI PROSEGUIRE il proprio PROCESSO di APPRENDIMENTO” (ATTREVERSO nuovi STIMOLI alla RICERCA)
BISOGNO DI RITMI (anche rituali) CHE LI STRUTTURINO DURANTE LA GIORNATA
BISOGNO DI PENSARSI IN UNA PROSPETTIVA FUTURA DI RITORNO ALLA NORMALITA’
Dato che oggi hanno anche chiuso le aree gioco reali, apriamo quelle virtuali, diamo la possibilità ai bambini di interfacciarsi con i propri coetanei, di sentire la voce dei propri insegnanti, di dialogare con loro, diamo un ritmo alle giornate, in modo che ciò li aiuti a ORIENTARSI e STRUTTURARSI.

E se ciò non fosse gestibile a causa delle barriere tecnologiche o perché non tutti dispongono dei mezzi necessari, iniziamo con chi può, e, nel frattempo, muoviamoci per colmare il gap tecnologico.

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 2: Vivere intorno a due “I” – Studio Sigrè

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 2: Vivere intorno a due “I” – Studio Sigrè

A cura di Massimo Giugler


Stiamo vivendo una situazione finora unica per la storia moderna. Abbiamo di fronte un nemico invisibile, che si sta diffondendo in tutto il mondo, senza fare differenze di etnia e censo.
Mi pare che ci siano un paio di dimensioni che caratterizzano questo momento e che ruotano attorno a due “I”: Incertezza e Isolamento.
L’incertezza, a sua volta, si distingue in Incertezza evolutiva e Incertezza temporale.
Non sappiamo infatti come evolverà la situazione, quanta gente ne sarà contagiata, quali saranno le conseguenze economiche, relazionali, sociali. Che accadrà nelle prossime settimane? Gli ospedali reggeranno? Il sud saprà arginare l’avanzata del virus? Noi, come tessuto sociale, reggeremo? Le persone più fragili dal punto di vista economico, se la caveranno? E in Europa come andrà? E nel mondo?
Domande a cui nessuno sa rispondere, nemmeno gli epidemiologi o i virologi più esperti.
Non sappiamo quando finirà. Abbiamo l’esempio della Cina, dove pare che il virus abbia rallentato il suo sviluppo, ma con delle differenze. Già i termini per il rientro a scuola sono stati spostati un paio di volte. Chissà se la scadenza del 3 aprile sarà rispettata! Se la “quarantena” terminerà sempre il 3 aprile. Se nonostante la ripresa delle attività l’avanzata del virus sarà interrotta o meno.
Vivere nell’incertezza provoca in noi inquietudine: vengono meno i punti di riferimento, ci sentiamo di andare verso l’ignoto e questo movimento non ci lascia indifferenti. Siamo sempre più abituati a controllare e soprattutto abbiamo perso l’abitudine a procrastinare, a differenziare nel tempo le frustrazioni (e le emozioni in generale), ad attendere. Ad aspettare il rientro a casa per raccontarci la giornata. Bruciamo tutto e subito. Sentiamo il bisogno di conoscere e di comunicare ogni movimento della giornata. Ora ci viene chiesto di fare esattamente il contrario: attesa e non controllo! Non è facile.
Mi pare di assistere a 3 tipi diversi di reazione a quanto sta accadendo: estrema preoccupazione, una equilibrata e sana preoccupazione, una sorta di spavalderia.
La preoccupazione estrema ci invade quando ci soffermiamo in modo analitico su quanto sta accadendo, inseguendo dati, articoli, cercando notizie attraverso canali vari. Una sorta di indigestione, che ci fa male. Anche perché poi spesso tutta questa ricerca non la condividiamo, per paura di preoccupare chi ci sta vicino. E così ci sovraccarichiamo. E’ la classica situazione in cui la soluzione che mettiamo in atto, ossia la ricerca di informazione, crea il problema (l’aumento della preoccupazione).
Una preoccupazione sana ed equilibrata ci permette di adottare, in modo consapevole, quei comportamenti necessari per circoscrivere e debellare il virus. Una possibile ricetta è di mixare la ricerca di info con la messa in atto di altre azioni quotidiane. Così come la possibilità di condivisione della nostra preoccupazione con persone vicine. O anche solo la condivisione di ciò che stiamo vivendo, facendo, dei nostri pensieri e ragionamenti.
L’atteggiamento di spavalderia sottende a due questioni: la negazione e il controllo del problema. Sono due movimenti accomunati dalla necessità di gestire ciò che sta avvenendo, segno che ciò che sta capitando ci tocca. Mi pare di riscontrare questo atteggiamento soprattutto nei giovani, in una sorta di “onnipotenza” adolescenziale, ma anche in alcuni anziani, in questo caso forse più per negare l’esistenza del problema.
L’altra “I” ci porta a trattare dell’Isolamento, che mi viene da declinare in isolamento domestico, isolamento in ospedale, isolamento scolastico.
L’isolamento domestico, che ci porta ad una concentrazione con le persone con cui siamo costretti a convivere, evidenzia l’impossibilità di incontrare amici, ma soprattutto, in molti casi, le persone a cui siamo affettivamente legati (figli, genitori, partner) se non abitiamo insieme a loro. E visto che sono sempre più le famiglie composte da single è un dato numericamente rilevante. D’improvviso riscopriamo che i contatti virtuali, tanto usati e abusati, non ci sono più sufficienti. Che siamo animali sociali e allora sì vanno bene le chat, i video, i sonori, ma non ci bastano. Stiamo tornando a dare valore agli incontri, al guardarsi negli occhi, al toccarsi, al cenare insieme agli amici.
Un altro isolamento, che non ci viene documentato, è quello che si verifica negli ospedali: i pazienti che non possono avere vicini i propri congiunti, con una sofferenza e un dolore enorme per entrambi. Le situazioni poi che evolvono in modo infausto, e stanno aumentando in modo esponenziale, vedono la persona malata andarsene in solitudine, senza l’affetto dei familiari. E con un enorme dolore e strappo e sensi di colpa per chi rimane. A ciò si aggiunge l’impossibilità di una sana elaborazione del lutto, essendo vietati, almeno per ora, i funerali.
Il terzo isolamento da sottolineare è quello dei bambini che non si possono frequentare e che, a parte i compiti, non percepiscono altre relazioni con i compagni di classe, non possono vedere gli amici dello sport, della danza, della musica, del corso di inglese o giocare con quelli dei giardinetti.
E allora che fare?
Intanto prendere consapevolezza di questo quadro. Se così stanno le cose, credo che abbiamo tutto il diritto di manifestare, in primis a noi stessi, la nostra preoccupazione, di condividere il nostro stato d’animo con altri adulti per noi significativi, togliendoci così un peso di dosso. Non è necessario, almeno in questo momento, fare gli eroi e tenere tutto per noi. Possiamo/dobbiamo proteggere i nostri figli, filtrando in modo corretto le informazioni, mettendo parola e dando a loro la possibilità di parlarne, ma tra noi adulti dobbiamo cercare di trovare le sponde necessarie di condivisione.
Un altro movimento può essere legato alla consapevolezza di ciò che stiamo vivendo. Mi ricollego al concetto di incertezza temporale. E’ come se contassimo i giorni che mancano, ma non sappiamo nemmeno quanti siano, non avendo una data certa. Cosi facendo aneliamo ad un qualcosa di ulteriormente incerto e non diamo valore a ciò che stiamo vivendo, alle occasioni che la vita, pur nella difficoltà ci ha messo davanti: il tempo da passare in famiglia, il tempo da dedicare a noi stessi, la cura delle relazioni, seppur a distanza, il possibile sostegno a chi è in difficoltà, la ricerca di soluzioni creative, la consapevolezza di affrontare una sfida epocale che rimarrà nella storia e di cui, ognuno nel proprio piccolo ne è e sarà protagonista.
Ci viene chiesto di rallentare per rallentare l’avanzata del virus. Se rallentiamo noi, rallenta anche lui.

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 1 per le Relazioni In Famiglia: Una storia al Giorno

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 1 per le Relazioni In Famiglia: Una storia al Giorno

Spiegato ai figli l’entità dell’emergenza che stiamo affrontando e trascorsi i giorni in cui si è trasmesso loro tutto ciò che è stato necessario per rassicurarli, oltre che informarli, ora si tratta di fare fronte al vero cambiamento. In questi giorni, infatti, per rispettare le regole e contribuire a far si che “tutto andrà bene”, ognuno ha dovuto modificare le proprie abitudini. E modificare le abitudini, si sa, modifica gli equilibri, richiedendo a ciascuno, adulti, ragazzi e bambini, di adattarsi a nuovi ritmi, di riorganizzare il proprio tempo, di ridefinire orari e attività. Tutto questo provoca inevitabilmente un cambiamento prima di tutto dentro di noi. Abbiamo nel precedente articolo parlato della preoccupazione degli adulti e di quanto questa possa interferire nella gestione dei figli in queste circostanze. Oggi parliamo delle inevitabili emozioni che circolano in casa quando ci si trova costantemente in relazione, di come ci si trovi improvvisamente a doversi abituare ad una nuova, seppur temporanea, quotidianità. Lavorare da casa in presenza dei figli, andare a lavorare senza poter portare i figli più piccoli all’asilo o a scuola, lasciare a casa i figli più grandi costretti a sospendere tutte le relazioni sociali, impone un grande cambiamento nelle famiglie. Cambiare orari, deguarsi ai nuovi strumenti di comunicazione per il proseguimento dell’ attività didattica dei figli, interrompere i ritmi per acquisirne di nuovo, sono solo alcuni dei principali aspetti legati al cambiamento che stiamo vivendo. E questo che impatto ha su di noi? Questo grande sforzo che stiamo facendo cosa comporta? Intanto in questi giorni i primi cambiamenti evidenti riguardano i bisogni primari di ciascuno. Grandi e piccoli dormono, mangiano, si muovono, respirano in modo diverso rispetto a prima. Si va a dormire in orari diversi, ci si sveglia e si mangia in orari differenti. Cosa significa questo? Significa che il nostro corpo è impegnato ad adattarsi alle nuove abitudini. E le nostre emozioni che fine fanno? La preoccupazione non è certo scomparsa, ma oltre a ciò si aggiungono tutte quelle emozioni legate allo stare in casa (necessaria ed indiscutibile condizione attuale ), emozioni correlate all’impossibilità di rispondere al bisogno di autonomia, libertà, aggregazione, movimento, tranquillità. Bisogni che, in una dimensione ristretta, restano insoddisfatti. Ecco che, nonostante il piacere di stare insieme ai figli, emerge anche la frustrazione nello stare con loro. E’ naturale. Preoccupati per la salute, per la situazione economica, impegnati a fare i conti con l’utilizzo indispensabile delle nuove tecnologie, ignari di ciò che a breve termine accadrà nel nostro Paese: ma davvero possiamo pensare che agitazione, rabbia, frustrazione non navighino quotidianamente dentro di noi senza avere ripercussioni nel momento in cui un figlio si arrabbia, chiede aiuto, lamenta un bisogno, si annoia, si agita? In questi giorni il concentrato di emozioni all’interno di casa in alcuni momenti può rappresentare un cocktail esplosivo. E questi momenti non si possono evitare. Possiamo prevenirli offrendo ai figli la possibilità di regolare ritmi e attività durante le loro nuove giornate. Possiamo affrontarli accettando che in alcuni momenti si può esplodere o crollare, aiutando i figli a fare lo stesso. Imparare a gestire i momenti di rabbia o sconforto non buttandosi addosso le emozioni, ma cercando di dirsi come si sta in quel momento. Possiamo rallentare gradualmente, per trovare il ritmo che ci consente di connetterci a loro. Potrebbe rappresentare una nuova opportunità. Definire i momenti della giornata per stare insieme, condividendo esperienze a seconda dell’età dei figli (anche adolescenti!!), definirne altri per prendere distanza, comunicando ai figli che in certi momenti è necessario stare “disconnessi”, perché si ha bisogno di tranquillità per ricaricarsi. Siamo sempre alla ricerca del tempo per “fare”, oggi si tratta di utilizzare questo tempo per imparare a STARE, insieme e soli a seconda dei momenti della giornata. Ma l’esercizio più difficile (riportato dalla maggior parte di genitori) è quello di riuscire a riconoscere che i propri comportamenti hanno a che fare soprattutto con il proprio stato d’animo, e che NON sono solo causa del comportamento dell’altro. Oggi iniziamo proporvi qualche spunto di riflessione su questo aspetto, attraverso la nostra prima breve storia. Mamma Anna stamattina ha seguito Pietro e Andrea nei compiti, ha fatto una lavatrice, ne ha stesa un’altra e ha preparato pranzo. E’ a casa da lavoro per due settimane. Papà Carlo è in camera occupato con lo smart working. Nel pomeriggio si gioca a carte e si guarda un po’ di tv. La spesa si farà l’indomani anche se qualcosa manca in frigo. A tavola, la sera, il piccolo Pietro un po’ annoiato, un po’ stanco di stare sempre accanto al fratello, chiede il parmigiano e papà risponde che è finito e che domani andranno a comprarlo. Pietro ha voglia di parmigiano, inizia ad essere stanco, un po’ disorientato dalla giornata atipica, non vede i nonni da una settimana, non gioca a pallone da due e il suo amico Paolo gli manca moltissimo. Inizia a piangere fortissimo. Sono capricci? O Pietro ha solo bisogno di sfogarsi perché le giornate nuove sono difficili anche per lui? Papà Carlo non dice nulla, Lo prende per mano e lo porta in cantina a prendere un vino speciale che berrà con la mamma e una pietra magica che metterà sul tavolo per scriverci sopra la spesa del giorno dopo. La sera, prima di addormentarsi, dice a Pietro che lo sa, è difficile rinunciare alla libertà in questi giorni. E lo stringe stretto a sè.

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