Studio Sigré
– A cura di Raffaella Borio –
La violenza sulle donne è la violenza agita da chi non riesce a mettere in parola niente della distruttività che lo abita, né prima né dopo che sia esplosa; la donna in questi casi è l’anello che cede nel discorso, familiare, di coppia, di vita, del maltrattante che, nella maggior parte dei casi, non sa dire nulla di quel che lo concerne. La violenza è odio, un odio che vuole la mortificazione e l’avvilimento dell’altro; non si può dire che la violenza sia “amore malato”, dell’ordine di Eros; piuttosto è dell’ordine di Thanatos, di una forza mortifera che annulla colei che si dice di amare.
La violenza ben si maschera e fa capolino nei legami di coppia in diversi modi: aggressioni fisiche, vessazioni e ricatti psicologici, violenze verbali, controllo e persecuzioni. Tal volta l’odio è cosi intenso da sfociare nella sua forma più estrema, il femminicidio.
La prima cosa che una donna deve fare quando subisce una violenza è parlarne, denunciare. Fare un atto di denuncia, dirsi e dire che qualcosa non va e che bisogna affrontarlo. Non si deve assolutamente credere che “poi passerà” e lasciarsi intimorire dalle conseguenze che, di fatto, aumenteranno. È opportuno restare agganciate a familiari e amici, non abbandonare la rete di legami significativi che spesso, chi subisce, è costretto ad abbandonare precocemente: il maltrattante tende ad isolarsi e a isolare, costruendo una sorta di follia a due, mascherata di amore assoluto e unico che altri non hanno diritto di condividere. E poi, altrettanto importante, sarà trovare un appiglio presso le istituzioni, i professionisti, le associazioni e gli enti locali dedicati, come i centri antiviolenza del territorio, non che le forze dell’ordine, a seconda del caso. Non rimanere sole, quindi, non farsi chiudere anche solo nel dubbio di avere accanto un uomo violento: parlarne aiuta a dipanare le emozioni, a sciogliere i nodi di dolore, a capire. Chi agisce violenza spesso fa leva sulle insicurezze e sui sentimenti di colpa dell’altro, facendogli credere di aver avuto comportamenti inadeguati. Le crisi di violenza, in realtà, si innescano “senza motivo” (non perché non esista una causa: la causa c’è ed è sempre da rintracciare a livello della struttura del soggetto), nel senso che gli atteggiamenti degli altri non sono che pretesti per innescare un litigio: provocazioni e agiti aggressivi possono sorgere anche alimentati da una posizione di assoluta sottomissione e accondiscendenza. Ho potuto constatare negli anni che ciò che fa si che si instauri un legame distruttivo tra un uomo e una donna è il “non volerne sapere nulla” di quell’alterità che ognuno di noi porta con sé e che, se rifiutata, non può che produrre segregazione. Siamo tutti estranei a noi stessi e se non ci facciamo carico di questo aspetto della condizione umana non possiamo renderci responsabili di ciò che siamo, di ciò che facciamo, dei nostri atti e gli altri diventano, a prescindere, nemici da colpire in quanto colpevoli del nostro esilio. Un uomo distante dalla propria alterità, che non ne può tener conto, per qualche motivo legato alla sua storia, potrebbe essere, a determinate condizioni, un uomo violento, verso se stesso e di conseguenza verso altri.
Tratto da: intervista su il Giornale del 25/11/2020_Raffaella Borio
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