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SPAZIO CONTRO-VIRUS 12 “Non si tratta di addestrare”

Studio Sigré

SPAZIO CONTRO-VIRUS 12 “Non si tratta di addestrare”

    A cura di Raffaella Borio

Da qualche ora si può scendere in strada. Bambini e genitori hanno atteso questo momento come la notte attende il dì. Senza precipitarsi, però, è importante: la fretta non è una valida consigliera, si sa. Per i bambini è fondamentale rimettere i loro passi in strada, ma non senza una guida alle loro spalle, senza un adulto che li segua avvertitamente. Ovunque si leggono buone norme da far adottare ai bambini e sani comportamenti  da insegnar loro prima del ritorno in società. Sarà davvero questo l’aspetto più importante su cui un genitore deve riporre tutta la sua attenzione ora? La vita sociale dei bambini moderni è già così articolata! Nell’ultimo periodo si è maggiormente complessificata: le molte cose da fare, in gruppo con i pari e anche in solitaria, sono divenute attività da svolgersi con la presenza di un adulto al fianco e un computer davanti. Se il loro mondo di relazioni (così come quello degli adulti) si mostrava  molto prestazionale, già prima di questa crisi sociale, ora lo è molto di più: la domanda ad essere bravi , disciplinati e preparati per non mettere in cattiva luce il mandato educativo del genitore o dell’educatore è costante. Credo che educatori e genitori debbano interrogarsi oggi come non mai su questo aspetto, proprio perché l’assetto relazionale genitori-figli ( soprattutto per  la fascia di ètà compresa tra i 5 e i 10 anni) si è modificato: i canali di comunicazione sono invasi da manuali didattici, video illustrativi e audio esplicativi su come lavarsi  le mani, come e quando  indossare la mascherina più  corollari vari che conosciamo bene…se è molto importante che si insegnino e si cerchi di far applicare alla vita queste condotte è altrettanto importante non esasperarle evitando che il bambino  ne venga travolto. Come  orientarsi?  Sarà sufficiente non perdere di vista che le regole ( anche quelle di comportamento) a cui tutti noi dobbiamo rifarci, non solo i bambini, funzionano se prese in un legame amorevole, ossia di fiducia:  non dovrà essere un addestramento al  nuovo vivere in società, bensì  un affiancamento, un esserci  per consentire al bambino di poter  fare  un’esperienza senza timore, una esperienza fattibile e interessante. Sulla base di quanto l’adulto saprà trasmettere di questo “regolamento”, il bambino potrà adottare la novità come fosse un appiglio su cui costruire anche un modo proprio  e originale di avere a che fare con la situazione attuale.  Nella nostra società la spinta all’apprendimento è forte  in ogni ambito della vita e anche i bambini risentono di questa esortazione ad imparare di continuo e a mostrare di sapere. Forse anche perché il sapere, inteso come conoscenza,  sembra esser diventato uno tra i beni di acquisto tra gli altri, che possono consentire a vivere meglio. Nel momento in cui, però,  il sapere si offre senza domandare nessun’altra forma di adesione a chi è rivolto, ossia quando punta all’assimilazione senza più partecipazione da parte di chi deve imparare,  non se ne reperisce più il senso e l’utilità. Assimilazione non è desiderio di sapere: per i bambini ora non si tratta solamente di assimilare nuovi modi di fare. In ogni campo si può apprendere la condotta più appropriata, pensiamo al fenomeno dei tutorial o della didattica a distanza. L’acquisizione di nozioni è quanto ci si prefigge di ottenere con questi strumenti che, se pur validissimi, mancano di quel quanto di umano che, a nostra insaputa, fa sì che ci si possa appassionare, per esempio, ad una materia o per contro odiarla, per amarne altre. La tendenza attuale è quella di moltiplicare linee guida e protocolli di ogni tipo, spesso non molto lontani da vere e proprie tecniche di addestramento, che creano i presupposti per un processo di apprendimento standard che non lascia granché spazio alla domanda e alla curiosità singolare di ognuno; che non segna l’esperienza di apprendimento del bambino: non in-segna nulla del proprio modo di voler sapere. Sarà capitato, infatti, a molti di noi di chiedere ad un bambino cosa gli sia piaciuto o interessato di un compito che ha svolto correttamente e di ricevere in risposta silenzio o un sonoro “non lo so”, proprio come se quanto appreso non lo riguardasse. Come suscitare quel desiderio di sapere? Che si tratti di leggere, scrivere, contare, disegnare, ma anche di vivere secondo regole o introdurne di nuove? Affiancare un figlio ora nell’apprendere nuovi modi di fare vuol dire prima di tutto non delegare completamente alcune spiegazioni, alcuni racconti, su quanto sta capitando nel mondo a video o a pacchetti di nozioni che, per quanto utili, divertenti e scientificamente competenti non possono, da soli, aiutare il bambino a capire e a cambiare. L’esperienza clinica con i bambini, e non solo,  mi ha convinta nel tempo che  si può imparare qualcosa solo a partire dal modo in cui si è legati all’altro.

 

 

 

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