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SPAZIO CONTRO-VIRUS 14 ” Come Gabbianelle fermate in volo”

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 14 ” Come Gabbianelle fermate in volo”

    A cura di Giovanna Mazza

C’è un momento magico che si verifica sempre, nel corso del primo quadrimestre, quando si insegna in una classe Prima. Il momento in cui il bambino scopre, quasi stupito di se stesso, di aver imparato a leggere.
Ricordo un mio alunno di qualche anno fa: era forse ottobre o novembre, l’avevo chiamato vicino a me, alla cattedra, durante l’intervallo, e gli avevo chiesto di leggere alcune paroline, formate dalle sillabe che avevamo già imparato. Lui mi aveva guardata stupitissimo e mi aveva detto “Ma io non so leggere!” , io l’avevo invitato a tentare lo stesso e lui…ha letto: “Me-La…Mela; Lu-po…Lupo; Pe-ra…Pera”, e ogni parolina che leggeva era sempre più sorpreso e mi guardava con gli occhi sbarrati.
Ecco, per me questo bambino è l’emblema della classe Prima: lo stupore.
Lo stupore nello scoprire di aver imparato a fare, non una cosa qualsiasi, ma qualcosa che ti apre un mondo nuovo, qualcosa che diventa veramente una chiave per entrare nel Mondo, il mondo “dei grandi”, il mondo vero, il mondo di tutti, perché se sai leggere sei padrone, in qualche modo, di accessi che fino a quel momento ti erano negati. La Prima è tutta così: una serie di scoperte e di apprendimenti continui, nella lettura, nella scrittura, ma anche nelle abilità sociali; nella capacità di fare le cose da solo, a partire dal fare la fila a coppie, all’andare in gruppo in bagno, da soli, senza la guida della maestra, come invece accadeva alla scuola dell’infanzia, in cui ci si sedeva insieme sulle panchine ad aspettare che tutti avessero lavato le mani…
La Prima è una serie di acquisizioni continue di abilità e di autonomie.
Si impara ad aver cura delle proprie cose, a ritirare gli oggetti nell’astuccio e nello zaino, a stare con gli altri davvero, a fare ulteriormente a meno dell’intervento costante dell’adulto, un processo che era già iniziato alla materna, ma che sicuramente si amplifica e si accelera alle elementari. Si impara un po’ di più a cavarsela da soli, un percorso che, ovviamente, dura tutta la scuola primaria e forse tutta la vita, in cui la Prima, però, segna proprio il momento di passaggio. E non mi riferisco solo all’inizio della Prima, ma all’intero anno scolastico. Si impara a litigare e anche a fare pace, ad accettare un po’ di più l’assenza dell’intervento dell’adulto, a sentirsi grandi rispetto ai compagni che si sono lasciati alla materna, a sentirsi un po’ più grandi anche nei confronti dei genitori. E di conseguenza cambiano una serie di dinamiche e di relazioni anche fuori dalla scuola. E’ questo uno dei grandi danni, sicuramente non il solo, che si è verificato quest’anno: bloccare,di colpo e senza preavviso, l’entusiasmo, lo stupore , lo slancio della scoperta, dell’imparare, dell’uscire dal guscio, del diventare grandi.
I bambini di classe Prima sono come la Gabbianella.
La Gabbianella che scopre finalmente di essere in grado di volare, parte, decolla… ma viene fermata in volo, mentre sta appena assaporando l’ebbrezza di quel momento e le sue ali sono ancora un pochino stropicciate… Le viene imposto di scendere, di tornare, non solo a terra, ma nel nido. Ecco è questo il danno e il grande rammarico, l’aver interrotto il primo volo.
Giovanna Mazza – Scuola Primaria di Bollengo

Tratto da: varieventuali art. aprile 2020

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 13 “A scuola chiusa, come sarà la chiusura dell’anno scolastico? “

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 13 “A scuola chiusa, come sarà la chiusura dell’anno scolastico? “

    A cura di Massimo Giugler

C’è un tema che mi è parso poco trattato in questi mesi in cui sono stati posti i sigilli agli istituti scolastici: la chiusura dell’anno scolastico 2019/2020. Come sarà? Avverrà a distanza o sarà possibile immaginarsi forme non dico di contatto, ma almeno di presenza fisica?

Trovo che, tra le altre forme di disagio che si possono essere create nei bambini in questo periodo, ve ne sia una che è evidente, ma poco considerata: l’impossibilità di salutarsi tra compagni nel momento in cui la scuola è stata chiusa e l’impossibilità di salutare i loro insegnanti, così come avviene per le vacanze. I bambini sono rimasti a casa, almeno qui in Canavese, per il Carnevale, quindi per un momento ludico.
Poi una prima breve chiusura per virare a chiusure prolungate con il passaggio dei genitori a scuola a ritirare libri e quaderni, quando si è capito che la chiusura sarebbe stata di una certa durata.
E oltre a non essersi salutati prima della chiusura c’è il rischio che non possano farlo nemmeno a giugno.

Trovo necessario che i bambini riescano a vedersi, non per motivi didattici, ma psicologici e relazionali. E’ importante ritrovarsi per condividere ciò che è stato in questi mesi e per gettare un ponte per la ripresa. Trovo pericoloso lasciare aperto questo buco, che può diventare, nel corso dell’estate, una voragine. Non è sano lasciare le situazioni aperte, indefinite, incerte, come è avvenuto in questi mesi, quando si è stati attraversati da continue ipotesi di riapertura. Tutti noi abbiamo bisogno di certezze e ancora di più che vive la fase dello sviluppo. E’ stata già rimarcata da molti l’importanza di determinare i tempi, di tenere i ritmi in queste giornate tutte uguali. Così come lo è sapere quando finirà la scuola e quando e come riaprirà. Sia per noi adulti, sia per loro bambini.

Un altro punto da determinare, da chiudere è la relazione con gli insegnanti e fra di loro. Se vi sono state numerose esperienze in cui i bambini, grazie al dinamismo e all’intraprendenza dei propri insegnanti, hanno potuto vedersi attraverso un video, dialogare tra di loro e con i loro insegnati, ve ne sono altrettante in cui ciò non è avvenuto. Per entrambe le situazioni ravvedo comunque la necessità di uno/due incontri entro giugno per le ragioni che ho già esposto, a cui ne aggiungo una: realizzare un simile incontro equivale inoltre costruire un solido pilone per attraversare l’estate e per creare condizioni favorevoli per il rientro a scuola per l’anno 2020/21. Altrimenti la gittata potrebbe risultare troppo ampia e crollare.

La necessità di incontrarsi risulta ancora più cogente per quei bambini che si trovano nella fase di passaggio da un grado di istruzione all’altro. Se il bisogno di chiudere è evidente per tutte le classi, diventa cogente per quei gruppi che non si possono dire arrivederci. La chiusura del ciclo dell’infanzia, della primaria e della secondaria sono dei passaggi fondamentali nella crescita di un individuo. Credo che tutti ricordiamo l’emozione dei saluti, della consegna dei lavori svolti nel corso dell’anno dai bambini nell’infanzia, la foto di gruppo che si appende per anni in camera e che segna una pietra miliare per misurare il cambiamento negli anni (già mancherà il saggio finale!). O ancora il passaggio di consegna fra gli alunni della V elementare con i relativi investimenti sulla preparazione, la cura del passaggio e primi riti di saluto di gruppo (cena in pizzeria o in casa di genitori disponibili). Significativa è la chiusura della secondaria di primo grado, anche perché il gruppo poi si disperde. Mancheranno quest’anno le feste di chiusura, le scorribande di gruppo in città, la cena in pizzeria, le magliette personalizzate. I ragazzi della maturità avranno, così pare, la possibilità di un esame orale in situazione (pare negato per i colleghi della terza media), dove però mancherà la dimensione del gruppo. Sono anche ragazzi dotati di maggiori risorse, con pluriappartenenze e con possibilità di incontro anche in tempi successivi, in cui la situazione tornerà ordinaria.

Ultima annotazione: viviamo in una società dove i riti di passaggio sono pressoché scomparsi, in cui si rimane in una condizione di eterna gioventù. Conosciamo la valenza di questi riti: danno struttura , identità e legittimazione sociale: rappresentano gli scalini da percorrere nella crescita individuale e nel posizionamento sociale. Non creare almeno un’occasione di incontro significa privarli di un ulteriore sostegno evolutivo.

Mi auguro pertanto che si possano creare le condizioni per cui attraverso un’alleanza fra insegnanti, scuola, genitori, enti locali, si riesca a realizzare almeno un momento di incontro fra i compagni di classe e i loro inseganti, sfruttando gli spazi all’aperto di cui, almeno da noi, tutte le scuole dispongono. E se non fosse possibile per tutte le classi, mi auguro che possa esserlo per quelle che si apprestano a chiudere un ciclo. E ad aprirne un altro.

 

 

 

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 12 “Non si tratta di addestrare”

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SPAZIO CONTRO-VIRUS 12 “Non si tratta di addestrare”

    A cura di Raffaella Borio

Da qualche ora si può scendere in strada. Bambini e genitori hanno atteso questo momento come la notte attende il dì. Senza precipitarsi, però, è importante: la fretta non è una valida consigliera, si sa. Per i bambini è fondamentale rimettere i loro passi in strada, ma non senza una guida alle loro spalle, senza un adulto che li segua avvertitamente. Ovunque si leggono buone norme da far adottare ai bambini e sani comportamenti  da insegnar loro prima del ritorno in società. Sarà davvero questo l’aspetto più importante su cui un genitore deve riporre tutta la sua attenzione ora? La vita sociale dei bambini moderni è già così articolata! Nell’ultimo periodo si è maggiormente complessificata: le molte cose da fare, in gruppo con i pari e anche in solitaria, sono divenute attività da svolgersi con la presenza di un adulto al fianco e un computer davanti. Se il loro mondo di relazioni (così come quello degli adulti) si mostrava  molto prestazionale, già prima di questa crisi sociale, ora lo è molto di più: la domanda ad essere bravi , disciplinati e preparati per non mettere in cattiva luce il mandato educativo del genitore o dell’educatore è costante. Credo che educatori e genitori debbano interrogarsi oggi come non mai su questo aspetto, proprio perché l’assetto relazionale genitori-figli ( soprattutto per  la fascia di ètà compresa tra i 5 e i 10 anni) si è modificato: i canali di comunicazione sono invasi da manuali didattici, video illustrativi e audio esplicativi su come lavarsi  le mani, come e quando  indossare la mascherina più  corollari vari che conosciamo bene…se è molto importante che si insegnino e si cerchi di far applicare alla vita queste condotte è altrettanto importante non esasperarle evitando che il bambino  ne venga travolto. Come  orientarsi?  Sarà sufficiente non perdere di vista che le regole ( anche quelle di comportamento) a cui tutti noi dobbiamo rifarci, non solo i bambini, funzionano se prese in un legame amorevole, ossia di fiducia:  non dovrà essere un addestramento al  nuovo vivere in società, bensì  un affiancamento, un esserci  per consentire al bambino di poter  fare  un’esperienza senza timore, una esperienza fattibile e interessante. Sulla base di quanto l’adulto saprà trasmettere di questo “regolamento”, il bambino potrà adottare la novità come fosse un appiglio su cui costruire anche un modo proprio  e originale di avere a che fare con la situazione attuale.  Nella nostra società la spinta all’apprendimento è forte  in ogni ambito della vita e anche i bambini risentono di questa esortazione ad imparare di continuo e a mostrare di sapere. Forse anche perché il sapere, inteso come conoscenza,  sembra esser diventato uno tra i beni di acquisto tra gli altri, che possono consentire a vivere meglio. Nel momento in cui, però,  il sapere si offre senza domandare nessun’altra forma di adesione a chi è rivolto, ossia quando punta all’assimilazione senza più partecipazione da parte di chi deve imparare,  non se ne reperisce più il senso e l’utilità. Assimilazione non è desiderio di sapere: per i bambini ora non si tratta solamente di assimilare nuovi modi di fare. In ogni campo si può apprendere la condotta più appropriata, pensiamo al fenomeno dei tutorial o della didattica a distanza. L’acquisizione di nozioni è quanto ci si prefigge di ottenere con questi strumenti che, se pur validissimi, mancano di quel quanto di umano che, a nostra insaputa, fa sì che ci si possa appassionare, per esempio, ad una materia o per contro odiarla, per amarne altre. La tendenza attuale è quella di moltiplicare linee guida e protocolli di ogni tipo, spesso non molto lontani da vere e proprie tecniche di addestramento, che creano i presupposti per un processo di apprendimento standard che non lascia granché spazio alla domanda e alla curiosità singolare di ognuno; che non segna l’esperienza di apprendimento del bambino: non in-segna nulla del proprio modo di voler sapere. Sarà capitato, infatti, a molti di noi di chiedere ad un bambino cosa gli sia piaciuto o interessato di un compito che ha svolto correttamente e di ricevere in risposta silenzio o un sonoro “non lo so”, proprio come se quanto appreso non lo riguardasse. Come suscitare quel desiderio di sapere? Che si tratti di leggere, scrivere, contare, disegnare, ma anche di vivere secondo regole o introdurne di nuove? Affiancare un figlio ora nell’apprendere nuovi modi di fare vuol dire prima di tutto non delegare completamente alcune spiegazioni, alcuni racconti, su quanto sta capitando nel mondo a video o a pacchetti di nozioni che, per quanto utili, divertenti e scientificamente competenti non possono, da soli, aiutare il bambino a capire e a cambiare. L’esperienza clinica con i bambini, e non solo,  mi ha convinta nel tempo che  si può imparare qualcosa solo a partire dal modo in cui si è legati all’altro.

 

 

 

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