Studio Sigré
A cura di Massimo Giugler
Stiamo vivendo una situazione finora unica per la storia moderna. Abbiamo di fronte un nemico invisibile, che si sta diffondendo in tutto il mondo, senza fare differenze di etnia e censo.
Mi pare che ci siano un paio di dimensioni che caratterizzano questo momento e che ruotano attorno a due “I”: Incertezza e Isolamento.
L’incertezza, a sua volta, si distingue in Incertezza evolutiva e Incertezza temporale.
Non sappiamo infatti come evolverà la situazione, quanta gente ne sarà contagiata, quali saranno le conseguenze economiche, relazionali, sociali. Che accadrà nelle prossime settimane? Gli ospedali reggeranno? Il sud saprà arginare l’avanzata del virus? Noi, come tessuto sociale, reggeremo? Le persone più fragili dal punto di vista economico, se la caveranno? E in Europa come andrà? E nel mondo?
Domande a cui nessuno sa rispondere, nemmeno gli epidemiologi o i virologi più esperti.
Non sappiamo quando finirà. Abbiamo l’esempio della Cina, dove pare che il virus abbia rallentato il suo sviluppo, ma con delle differenze. Già i termini per il rientro a scuola sono stati spostati un paio di volte. Chissà se la scadenza del 3 aprile sarà rispettata! Se la “quarantena” terminerà sempre il 3 aprile. Se nonostante la ripresa delle attività l’avanzata del virus sarà interrotta o meno.
Vivere nell’incertezza provoca in noi inquietudine: vengono meno i punti di riferimento, ci sentiamo di andare verso l’ignoto e questo movimento non ci lascia indifferenti. Siamo sempre più abituati a controllare e soprattutto abbiamo perso l’abitudine a procrastinare, a differenziare nel tempo le frustrazioni (e le emozioni in generale), ad attendere. Ad aspettare il rientro a casa per raccontarci la giornata. Bruciamo tutto e subito. Sentiamo il bisogno di conoscere e di comunicare ogni movimento della giornata. Ora ci viene chiesto di fare esattamente il contrario: attesa e non controllo! Non è facile.
Mi pare di assistere a 3 tipi diversi di reazione a quanto sta accadendo: estrema preoccupazione, una equilibrata e sana preoccupazione, una sorta di spavalderia.
La preoccupazione estrema ci invade quando ci soffermiamo in modo analitico su quanto sta accadendo, inseguendo dati, articoli, cercando notizie attraverso canali vari. Una sorta di indigestione, che ci fa male. Anche perché poi spesso tutta questa ricerca non la condividiamo, per paura di preoccupare chi ci sta vicino. E così ci sovraccarichiamo. E’ la classica situazione in cui la soluzione che mettiamo in atto, ossia la ricerca di informazione, crea il problema (l’aumento della preoccupazione).
Una preoccupazione sana ed equilibrata ci permette di adottare, in modo consapevole, quei comportamenti necessari per circoscrivere e debellare il virus. Una possibile ricetta è di mixare la ricerca di info con la messa in atto di altre azioni quotidiane. Così come la possibilità di condivisione della nostra preoccupazione con persone vicine. O anche solo la condivisione di ciò che stiamo vivendo, facendo, dei nostri pensieri e ragionamenti.
L’atteggiamento di spavalderia sottende a due questioni: la negazione e il controllo del problema. Sono due movimenti accomunati dalla necessità di gestire ciò che sta avvenendo, segno che ciò che sta capitando ci tocca. Mi pare di riscontrare questo atteggiamento soprattutto nei giovani, in una sorta di “onnipotenza” adolescenziale, ma anche in alcuni anziani, in questo caso forse più per negare l’esistenza del problema.
L’altra “I” ci porta a trattare dell’Isolamento, che mi viene da declinare in isolamento domestico, isolamento in ospedale, isolamento scolastico.
L’isolamento domestico, che ci porta ad una concentrazione con le persone con cui siamo costretti a convivere, evidenzia l’impossibilità di incontrare amici, ma soprattutto, in molti casi, le persone a cui siamo affettivamente legati (figli, genitori, partner) se non abitiamo insieme a loro. E visto che sono sempre più le famiglie composte da single è un dato numericamente rilevante. D’improvviso riscopriamo che i contatti virtuali, tanto usati e abusati, non ci sono più sufficienti. Che siamo animali sociali e allora sì vanno bene le chat, i video, i sonori, ma non ci bastano. Stiamo tornando a dare valore agli incontri, al guardarsi negli occhi, al toccarsi, al cenare insieme agli amici.
Un altro isolamento, che non ci viene documentato, è quello che si verifica negli ospedali: i pazienti che non possono avere vicini i propri congiunti, con una sofferenza e un dolore enorme per entrambi. Le situazioni poi che evolvono in modo infausto, e stanno aumentando in modo esponenziale, vedono la persona malata andarsene in solitudine, senza l’affetto dei familiari. E con un enorme dolore e strappo e sensi di colpa per chi rimane. A ciò si aggiunge l’impossibilità di una sana elaborazione del lutto, essendo vietati, almeno per ora, i funerali.
Il terzo isolamento da sottolineare è quello dei bambini che non si possono frequentare e che, a parte i compiti, non percepiscono altre relazioni con i compagni di classe, non possono vedere gli amici dello sport, della danza, della musica, del corso di inglese o giocare con quelli dei giardinetti.
E allora che fare?
Intanto prendere consapevolezza di questo quadro. Se così stanno le cose, credo che abbiamo tutto il diritto di manifestare, in primis a noi stessi, la nostra preoccupazione, di condividere il nostro stato d’animo con altri adulti per noi significativi, togliendoci così un peso di dosso. Non è necessario, almeno in questo momento, fare gli eroi e tenere tutto per noi. Possiamo/dobbiamo proteggere i nostri figli, filtrando in modo corretto le informazioni, mettendo parola e dando a loro la possibilità di parlarne, ma tra noi adulti dobbiamo cercare di trovare le sponde necessarie di condivisione.
Un altro movimento può essere legato alla consapevolezza di ciò che stiamo vivendo. Mi ricollego al concetto di incertezza temporale. E’ come se contassimo i giorni che mancano, ma non sappiamo nemmeno quanti siano, non avendo una data certa. Cosi facendo aneliamo ad un qualcosa di ulteriormente incerto e non diamo valore a ciò che stiamo vivendo, alle occasioni che la vita, pur nella difficoltà ci ha messo davanti: il tempo da passare in famiglia, il tempo da dedicare a noi stessi, la cura delle relazioni, seppur a distanza, il possibile sostegno a chi è in difficoltà, la ricerca di soluzioni creative, la consapevolezza di affrontare una sfida epocale che rimarrà nella storia e di cui, ognuno nel proprio piccolo ne è e sarà protagonista.
Ci viene chiesto di rallentare per rallentare l’avanzata del virus. Se rallentiamo noi, rallenta anche lui.
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